Pare il ritratto dell’ultimo periodo di sua vita, quando il male la tormentava inesorabilmente. Dal suo cuore buono, compassionevole per le miserie altrui, trasse la forza per sopportare con serena fermezza le sue grandi sofferenze.
Tra le rose e le viole d’un balcone fiorito,
spunta d’una bimba il visino appassito:
gracile, smunto senza colore
come se mancasse il sole ad un fiore.
E ne manca del sole, povera piccina:
essa è malata, è una malatina.
Coglie un fiore, il profumo ne aspira, poi lo butta:
così è la sua vita, una vita distrutta.
Anch’essa era un fiore, fresco e profumato;
ma poi venne la falce e lo ha tagliato,
e con la mano fredda di ghiaccio
le tagliò lo stelo, le portò via della luce il raggio.
Ora è lì, ed ignora,
ama la solitudine, ama restar sola;
giacché per lei la vita è ridotta,
in una tristezza, in una cruenta lotta.
Tutto è perduto:
e lei lo ha capito.
Triste, muta, mai sorriderà,
le manca il sole, la vita, la felicità.
(Roma, 30 maggio 1954)